Bisogna portare pazienza, e arrivare fino alla fine.
E' li
che si rivela per quel che è: un libro complesso, affascinante,
pluritematico: l’insofferenza verso il mondo contemporaneo, l’inadattabilità e
le spinte eversive, l’amore che distrugge e salva, il tema del doppio.
Tutto
“bollito e schiumato” in uno stile febbricitante e alienato.
Mi è piaciuta
molto la “circolarità” del racconto, l'inizio è nella fine.
Il fight club è oltrepassare i limiti del dolore come
catarsi. Purificazione.
Ma questo è secondo me solo il primo livello di
consapevolezza a cui giunge il protagonista della storia, Tyler.
Distruggere tutto, anche se stessi, per rigenerare il mondo.
“Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di
meglio dal mondo”.
Il secondo è la consapevolezza del limite.
Lo scopo del Progetto Caos, la prima regola, è la completa e immediata
distruzione della civiltà.
Che cosa viene dopo nel Progetto Caos nessuno lo sa salvo
Tyler.
La seconda regola è che non si fanno domande.
I seguaci di Tyler sono scimmie spaziali. Non fanno domande
e obbediscono.
L’alter ego di Tyler viola la regola. Domanda, chiede. Parla
del fight club. Lascia le tracce nella fotocopiatrice dell’ufficio.
La terza consapevolezza è quella dell’umanità che salva e
viene salvata, attraverso ciò che si ama.
E, nello specifico, è Marla.
La voce narrante incontra
Marla e poi Tyler.
Marla non ha la vita perfetta come quella della voce
narrante.
Marla è il disordine che genera Tyler.
"Io voglio Tyler. Tyler vuole Marla. Marla vuole me. Io
non voglio Marla e Tyler non mi vuole per le palle, non più. … Senza Marla,
Tyler non avrebbe niente."
L’alter ego di Tyler deve uccidere Tyler perché deve
proteggere Marla. Deve salvarla.
“Dico che no, non so dirle che cosa deve succedere. E spingo
l’uno, i due, i tre molari nella terra e i capelli e lo sterco e il sangue e le
ossa per non lasciarli vedere a Marla”.
Così come Tyler deve far toccare il fondo alla voce narrante
per salvarlo dal conformismo e lasciarlo amare Marla.
“Quel vecchio detto secondo cui uccidi sempre ciò che ami,
oh bè, funziona in un senso e nell’altro”.
E, ovviamente, coloro che si soffermano sul carattere
militaresco del fight club, che esiste più nella testa che nella realtà ( nasce
dalla difficoltà di relazionarsi con il mondo), possono appropriarsi dei modi e
dei simboli dello squadrismo anarcoide o di destra. Ma è cogliere solo l’olio
galleggiare sulla superficie dell’acqua e non spingere la testa sotto.