sabato 13 aprile 2013

Fight club


Bisogna portare pazienza, e arrivare fino alla fine. 
E' li che si rivela per quel che è: un libro complesso, affascinante, pluritematico: l’insofferenza verso il mondo contemporaneo, l’inadattabilità e le spinte eversive, l’amore che distrugge e salva, il tema del doppio. 
Tutto “bollito e schiumato” in uno stile febbricitante e alienato. 
Mi è piaciuta molto la “circolarità” del racconto, l'inizio è nella fine.
Il fight club è oltrepassare i limiti del dolore come catarsi. Purificazione.
Ma questo è secondo me solo il primo livello di consapevolezza a cui giunge il protagonista della storia, Tyler.
Distruggere tutto, anche se stessi, per rigenerare il mondo.
“Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo”.
Il secondo è la consapevolezza del limite.
Lo scopo del Progetto Caos, la prima regola,  è la completa e immediata distruzione della civiltà.
Che cosa viene dopo nel Progetto Caos nessuno lo sa salvo Tyler. 
La seconda regola è che non si fanno domande.
I seguaci di Tyler sono scimmie spaziali. Non fanno domande e obbediscono.
L’alter ego di Tyler viola la regola. Domanda, chiede. Parla del fight club. Lascia le tracce nella fotocopiatrice dell’ufficio.
La terza consapevolezza è quella dell’umanità che salva e viene salvata, attraverso ciò che si ama.
E, nello specifico, è Marla. 
La voce narrante incontra Marla e poi Tyler. 
Marla non ha la vita perfetta come quella della voce narrante. 
Marla è il disordine che genera Tyler.
"Io voglio Tyler. Tyler vuole Marla. Marla vuole me. Io non voglio Marla e Tyler non mi vuole per le palle, non più. … Senza Marla, Tyler non avrebbe niente."
L’alter ego di Tyler deve uccidere Tyler perché deve proteggere Marla. Deve salvarla.
“Dico che no, non so dirle che cosa deve succedere. E spingo l’uno, i due, i tre molari nella terra e i capelli e lo sterco e il sangue e le ossa per non lasciarli vedere a Marla”.
Così come Tyler deve far toccare il fondo alla voce narrante per salvarlo dal conformismo e lasciarlo amare Marla.
“Quel vecchio detto secondo cui uccidi sempre ciò che ami, oh bè, funziona in un senso e nell’altro”.
E, ovviamente, coloro che si soffermano sul carattere militaresco del fight club, che esiste più nella testa che nella realtà ( nasce dalla difficoltà di relazionarsi con il mondo), possono appropriarsi dei modi e dei simboli dello squadrismo anarcoide o di destra. Ma è cogliere solo l’olio galleggiare sulla superficie dell’acqua e non spingere la testa sotto.