domenica 16 marzo 2014

Hazard e Fissile - Raymond Queneau

Raymond Queneau Hazard e Fissile
Bella la copertina, la Q con polpessa e granchietti. 
In libreria ho leggiucchiato l’aletta interna: primo esperimento narrativo (di Raimondino !!), inedito (uààà!), esilarante parodia e una distorsione delle peripezie classiche del romanzo d’appendice. 
Come resistere? Lo prendo. 
(Dieci euro, grazie)
Mancano solo i pirati, perché poi dentro ci sta tutto: il circo, gli inseguimenti, il pagliaccio, l’investigatore, i delitti, l'orangotango, i travestimenti, le piovre assassine, le agnizioni, il killer negro kon accento alsaziano, il tappeto con il cadafero arravugliato, la fanciulla rapita, le seghe, il cimitero, il nano di cristallo, il mostro verde, minchia, ma come, nella grotta entrano Adrien e Lazzaro Hazard e poi Adrien diventa, dopo dieci righe, Sulpizio Fissile?? Vabbuò, ià. 
(e che minestrone)
Se dovessero pubblicare la raccolta dei bigliettini d’ammore che R. Q. passava sotto il banco alla riccioli d’oro seduta davanti, in prima elementare (ah, ritrovarli - che fortuna! - si potrebbero cogliere nelle sgrammaticature gli anticipi delle future manipolazioni del linguaggio!), non mi farò fregare, non me la compro.
(Non lo so perché vengo sempre più spesso colta da attacchi di bulimia conoscitivo-letteraria. Dovessi fare una tesi, uno studio critico, un’esegesi dell’opera omnia di Queneau , sarei pure giustificata. 
Ma. 
Non lo devo - né voglio - fare. 
Mannaggia.)

mercoledì 5 marzo 2014

Lascia stare i santi - Guido Barbujani

C’è un luogo di confine, un interregno, dove le settorialità, le superspecializzazioni,  non hanno posto. 
E’ il luogo dove alberga la  curiosità intellettuale. 
E allora succede che il resoconto di un’esperienza di  ricerca scientifica rigorosa sposti il suo asse su molti altri piani.
Così è Lascia stare i santi
Io sono quello che ha rotto il dente a San Luca
E’ Guido Barbujani, genetista, professore universitario, a compiere il gesto. 
Lo fa però  su incarico del Vescovo di Padova, che  affida ad una equipe di scienziati, storici, botanici, paleografi, numismatici, antropologi (e pure esperti di serpenti),  il compito di verificare che le reliquie conservate nell’arca in  santa Giustina appartengano davvero a San Luca Evangelista. 
Eh, perché mica è facile, dei corpi di santi e martiri si faceva moltiplicazione e divisione, commercio e ruberie: falangi, tibie, rotule e  corpi senza testa o teste senza corpo sono sparse nei quattro cantoni del mondo cristiano e anche dello stesso San Luca (o suoi pezzetti) varie conventicole   ne vantano il possesso. 
Eccerto. 
Le reliquie fanno i miracoli. (come non pensare a stimmate, acque di sorgenti francesi, a Montalcina che è diventata megalopoli del bussssiness religioso, ancora adesso, ancora adesso?)

Il resoconto, in prima persona,  comincia in media res. 
In Siria. 
C’è un passaggio di denaro, dentro un ascensore, tra un colonnello e l’autore. 
E’ per avere campioni di sangue da cui estrarre il DNA per confrontarlo con quello estratto da una radice e da un  dente di san Luca. 
Un’avventura, quella siriana. 
Più facile far passare un carico di kalashnikov che dei campioncini  di materiale ematico. 
(no aids, no aids)
Su come vada a finire il lavoro scientifico, su quali siano i risultati della ricerca, su che canali e con quali scambi e intrecci interdisciplinari si arrivi ad una conclusione, non dico nulla: nel bene o nel male una ricerca scientifica ha pur sempre un approdo, anche se basato su probabilità piuttosto che su dati incontrovertibili.

Non è solo il resoconto di un lavoro scientifico, questo di Barbujani.  
Il viaggio in Siria (come sarà la madeleine del capitolo  “Come diventare distruttori di reliquie” in cui l’autore ricorda il periodo in cui ha lavorato in America, ed ha imparato il “mestiere”) è trapuntato di ricordi di persone, di spazi, di cavalieri e di stiliti, di eccellenze e solitudini, di ritmi e di modus vivendi diversi. 
C’era qualcosa di commovente nella coesistenza di due mondi cosí diversi, nei continui scarti fra antico e moderno, nel loro squilibrio non privo di bellezza, che rimandava ad altre difficili, e pure possibili, coesistenze. Era come se all’arrivo del buio la città moderna si curvasse a coprire le spalle dei propri patriarchi, e con quel gesto testimoniasse come non sempre il trascorrere del tempo sia spietato.” 
Coesistenze.  
E’ un libro strano. 
Sfugge a definizioni, non è un saggio né un libro storico  né un libro autobiografico né  e né. 
Eppure è anche  tutto questo: pagine di  storia, di genetica, di letteratura, note di arte, di chimica, di botanica, si intrecciano con un tessuto più intimo e personale e non privo di ironia destinato  a tessere una sorte di ponte tra il qui  e l’altrove,  tra l’adesso e il passato.
[Coesistenze]
Non vi è solo piacere dell’erudizione. 
E’ il martellante  bisogno di afferrare delle tracce, di trovare un  senso all’effimero che si perde  nel tempo, di cercare corrispondenze, anche se, alla fine, se ne ricava più una sorta di disincanto che altro. 
..col viaggio, l’ansia di comprendere tutto, connaturata a ogni sforzo intellettuale degno di questo nome, lascia spazio a un atteggiamento diverso, purtroppo transitorio ma consolante, che potremmo definire come una piú esatta, e molto rasserenante, percezione della nostra personale scarsa importanza.
O della relativa nostra personale importanza, come mi piace più pensare. 

E’ qualcosa che  travalica  la spinta che viene  dalla scommessa di lanciarsi in una sorta di mission impossible dal punto di vista  professionale e arriva a sottolineare quello spazio di cui parlavo in principio: la curiosità intellettuale, che se da un lato è propria del ricercatore dall’altro è propria dell’uomo. 
(Non solo dell’uomo Barbujani.  Dell’uomo verso l’altro uomo, verso vite incrociate per un’ora, un giorno, per mesi, per anni e poi andate)

"Il deserto si era annunciato con milioni di bandierine.
In Siria i sacchetti della spesa li fanno di una plastica sottile, quasi trasparente, nera. La gente li butta per terra dove capita, con naturalezza, dappertutto. Il vento li porta via, lungo i marciapiedi prima, poi per strade e campi, e sui terreni incolti fuori dalle città, talvolta alzandoli in mulinelli che mi pento di non aver fotografato.
Sbattendoli di qua e di là li lacera, li riduce in striscioline.
Moltissime si arenano contro un muro o nei fossi; molte continuano a viaggiare; coprono grandi distanze fino a raggiungere il margine del deserto, la zona in cui, prima che la vegetazione finisca del tutto, per chilometri e chilometri ci sono solo sterpi secchi. Lí ogni stecco, ogni bastoncino, trattiene il suo frammento di plastica, e la plastica sventola. Cosí la macchina si infila in un paesaggio da fantascienza: la striscia d’asfalto davanti e ai lati, sull’ocra della superficie sassosa, bandierine nere a perdita d’occhio, un esercito che ha occupato territori sterminati e adesso, lancia in resta, aspetta non si sa cosa."