sabato 21 luglio 2012

Passavamo sulla terra leggeri - Sergio Atzeni


"…come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta." Pag. 24
Come nella mitologia precristiana, un ciclo di eterno ritorno.
Antonio Setzu è un Custode del tempo, e nella finzione narratologica trasmette all’Atzeni la storia delle radici , da quando i danzatori di stelle, fatti prigionieri dagli uomini del mare, si impossessarono della nave senza mai averne governato una e giunsero in Sardegna, M’ag o m’ad as, la terra chiamata così nella lingua antica , fino alla perdita della libertà, dell’autonomia, fino al XIV secolo.
Non è un caso che la storia tramandata dai Custodi del tempo si arresti con la perdita della autonomia politica e con la fine dei Giudicati. 
In fondo, il senso del libro di Atzeri è proprio nella rivendicazione della identità che in qualche modo corrisponde all’autodeterminazione dei Sardi. 
"Non potevamo fermare il ciclo dell'uomo, nessuno può fermarlo. Dovevamo incontrare altri uomini, per crescere. L'incontro ha un costo, pagarlo è inevitabile" 
Ad Atzeni non interessa la storia in senso preciso. 
“Il disegno e il moto delle stelle parola del creatore ignoto, decifrarla massima sapienza. Solo strumento il numero. Il numero, sacro” 
100 e 100, mille e mille; il mese dell’asfodelo o quello delle mandorle aspre.

E' la dimensione collettiva, epica e mitica dell’identità sarda che Atzeri vuole tramandare, che vuole rivendicare attraverso la conservazione della memoria del lunghissimo tempo in cui i Sardi seppero resistere all’invasore, o seppero leggere e interpretare i segni attraverso la “lingua antica”. 
Penso a Lucifero. Non il diavolo, no. 
Penso al bambino che da adulto fu chiamato Uomo e poi portatore di luce. 
Il Lucifero che diffuse il cristianesimo tra i sardi, il cui nome fu trasmesso agli episcopi. 
Anche la figura, anzi le figure di Lucifero sono, nella mitologia di Atzeni, antagoniste all’autorità di Roma. 
San Lucifero è patrono di Cagliari (insieme al più tranquillo Saturnino) e di altre località sarde. 
Ignoravo, fino a quando ho incontrato un amico cagliaritano, che esistesse un santo con questo nome. Addirittura strade, a Lucifero dedicate. 
(resistenza, e ancora resistenza) 
Le figure chiave del racconto sono giudici e judichesse (quante donne autorevoli – è una donna che slega i lacci dei prigionieri sulla nave che approda in Sardegna, è una donna, Eleonora d’Arbas, l’ultima judichessa) 
Erano il cuore della collettività sarda: redimevano contrasti e garantivano i diritti comunitari; di alcuni si è perso il nome, di altri, storicamente esistiti, la vita viene intreccia alla leggenda, e al ritmo stesso della natura. 
Erano eletti dall’assemblea di majores, ma avere dei figli poteva garantire la prosecuzione del diritto di autogovernarsi: se la stirpe dei giudici si perpetrava attraverso la nuova nascita, o la nuova elezione, carestie e calamità si arrestavano, come se il prosieguo della tradizione potesse ripristinare l’ equilibrio positivo tra ambito umano e ambito naturale, come se l’esistenza dei giudici appartenesse al ciclo naturale (il “passavamo leggeri…” che ho riportato ad inizio commento, il titolo del libro)

La narrazione ha il respiro dell’epica, un’epica poetica, non priva però di durezza. 
Vendetta. 
La vendetta, o ri-vendicazione, in tutte le sue sfaccettature permea il Cunto. 
Tutti coloro che si rivolgono ai giudici lo fanno per ri-vendicare qualcosa, i falchi cavano gli occhi per ripagare dal torto, le donne uccidono per vendicarsi e poi ci sono le bardanas, quanta simpatia per le bardanas, le scorrerie per riprendere i frutti della terra che appartiene per atavico diritto. 
Anche i Custodi del tempo, sono in qualche modo giudici, perché sta ad ogni nuovo custode, appresa la storia dal vecchio, tramandarla arricchita degli eventi che “giudicano” degni di essere ricordati. 
Essi sono i garanti e i protettori, e la loro storia sfugge ai rigori della ufficialità.

La memoria a lungo termine quale riconoscimento della matrice dell’identità, il diritto all’ autodeterminazione, la nostalgia di una mitica età dell’oro nella quale i sardi vivevano separati dagli altri, incontaminati e puri, configurano il libro di Atzeni come canto, canto d’amore e di difesa della propria terra.
Tuttavia. 
La riconoscibilità dei luoghi , dei personaggi (anche se rielaborati in modo leggendario), la matrice delle feste popolari che ancora resistono nei Carnevali (re Canciofalli, ad esempio) sicuramente “parlano” ad un sardo in modo più intenso (ed anche extratestuale) di quanto possano a chi sardo non è. 
E’ una storia affascinante, ma non è la mia storia.

E poi. Sembra un libro poetico, ma è il suo "vestito"  ad esserlo. 
E' un libro politico.

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