giovedì 22 maggio 2014

Ghiaccio-nove - Kurt Vonnegut

"Signore, come muore un uomo quando viene privato della consolazione della letturatura? 
"in uno o due modi, "disse lui, "per pietrificazione del cuore o per atrofia del sistema nervoso."

Ghiaccio-nove non emoziona, almeno rispetto a Mattatoio n. 5
E' molto più cerebrale, ma meno potente e incisivo di Madre notte. 
Un Vonnegut in tono minore. 
Tuttavia , anche in questo romanzo fanta-scientifico (e la scissione del temine è volontaria) ritorna uno dei suoi leit-motiv: l' etica della menzogna come guida alla sopravvivenza.
Il ghiaccio-nove è una scoperta scientifica dalla forza distruttiva infinitamente più potente della bomba atomica, la cui incauta gestione porterà all'apocalisse. Sopravviverà un manipolo di individui sghembi e strani, e il narratore, uno scrittore che partendo dall'intenzione di scrivere un libro sul giorno dello sganciamento della bomba atomica visto con gli occhi di chi l'ha costruita, arriva nell'isola di San Lorenzo, culla del bokononismo e della sua negazione. 
Ma quello che resta, dopo la lettura, oltre all'accusa di stupidità dell'agire umano, incapace di prevedere conseguenze, direzioni, sensi, oltre l'ombra del proprio naso, è proprio l'invenzione del bokononismo, una religione nata in modo casuale da un santone improvvisato, della quale si declinano ritualità (eh, il boko-maru) e principi. 

Il caposaldo della setta è nella prima affermazione dei Libri di Bokonon: 
"tutte le verità che sto per dirvi sono spudorate menzogne". 
Ma solo seguendo la "foma", la menzogna, si può arrivare alla felicità e alla serenità. 
(e pure nelle altre religioni. La religione può essere utile)
Il bokononismo deresponsabilizza. 
Pensare di rientrare in un progetto imprescrutabile e incomprensibile (dov'è la verità, se l'assunto di partenza è la menzogna?), deresponsabilizza. 
L'assenza di responsabilità individuale va di moda. E' sempre colpa degli altri. Tanto, poi ci si accomoda nella "foma". 
Ma qualcuno, colto da improvvisa illuminazione, non potrà non cogliere il paradosso del pensiero bokononista: 
"la straziante necessità e al tempo stesso la straziante impossibilità di mentire sulla realtà". 
E allora resta solo la sensazione di impotenza e di sconfitta. 
Bokonon lo sapeva già.

venerdì 9 maggio 2014

Primavera di bellezza - Beppe Fenoglio

La componente autobiografica è fortemente presente in questo romanzo: Fenoglio  era studente universitario quando fu richiamato alle armi e spedito al corso di addestramento per allievi ufficiali nel 1943, prima in Piemonte (Ceva, che diventa Moana, nel libro) e poi a Roma, come Johnny,  il protagonista:
 “Al momento della chiamata alle armi si trovava a metà degli studi per diventare professore di lingua e letteratura inglese
Sono sicura che anche il “sentire” di Johnny sia  lo stesso che aveva provato talora  Fenoglio:
Beppe Fenoglio, primavera di bellezza
 “Nel filone della brezza che faceva vorticare le foglie dei pioppi come tante elichette, accennò ad aprirsi la giubba: si opposero le giberne, ma l'impedimento non valse a ricordargli ciò che le giberne rappresentavano. Dietro, gli spari echeggiavano sempre più fiochi, voci umane non gli arrivarono più. Scavalcato un arginello, gli appari l'acqua; stagnava, profonda e muta, quasi solida nella sua immobilità e nel modo con cui combaciava con l'altra riva, un arenile ammiccante sotto il sole. Da una macchia al limite della sabbia un misterioso uccello mandò il suo verso spaventato e cattivo, ultimo. Nel silenzio che seguì, Johnny si concentrò tutto nell'acqua: era sorella dell'acqua del fiume che lo aveva allevato, quella dei suoi solitari bagni mattutini, dove e quando la millimetrata immersione gli procurava una pungente lunga voluttà quale nessuna donna ancora aveva saputo regalargli.
Stremato da quell'eccesso di libertà e di oblio, dovette appoggiarsi al tronco di un pioppo; sentì la scorza tenera e tiepida, non udì la tromba lontana suonare il cessate il fuoco. Questa del fiume era la realtà, il sogno morboso era l'esercito italiano, la guerra che esso stava disastrosamente perdendo, il corso di addestramento che si teneva a Moana; gli fosse comparso dinanzi Jacoboni, o lo stesso Di Leva, avrebbe appena battuto una palpebra, persuaso di annullarlo con quel minimo moto.

Come Fenoglio,  il protagonista del romanzo è a Roma   l’ 8 settembre, il giorno dell’armistizio:  assiste allo sfascio dell’esercito, cerca di tornare a casa  vestendo abiti civili e sfuggendo lo sguardo e il mitra dei tedeschi (gran bell’impresa trovarne, di abiti civili, e risalire la penisola su treni stipati come carri bestiame)  , ma prima di arrivare a casa si imbatte nei “ribelli” e si aggrega loro, scoprendo  nella guerra contro il nemico tedesco  un  “valore”,  il senso da dare alla  propria esistenza.
Lui, Johnny, che dell’esercito e della divisa se ne infischiava una cippa, che era per natura un solitario e un  riflessivo, che avrebbe voluto tornare a “baita”, incita all’azione il piccolo gruppo di partigiani scampati all’incursione nazista che ha bruciato il paesino che accoglieva la base.

Allora Johnny disse: « Un modo ci sarebbe, di ringraziare Geo e tornarcene a casa senza sentirci troppo inferiori a uno sputo. Aspettarli al ritorno e fargliela pagare in parte. »
Modica assentì immediatamente e senza eccitazione, Cattadori e Coromer non batterono ciglio, ma Sciolla si turbò più del necessario. « Un'imboscata? Un'imboscata di noi cinque a centinaia di tedeschi? Ragazzi, vi par poco? Non dico che non la si possa fare... »

Johnny sorride alla morte che lo attende.
E’ un uomo, non uno sputo.

Eh, la Resistenza.

domenica 4 maggio 2014

Cristo tra i muratori - Pietro Di Donato

Cristo tra i muratori
Di Donato era figlio di immigrati abruzzesi, e parte della sua esperienza personale è trasposta nel libro “Cristo tra i muratori”: suo padre morì nel cantiere, e lo stesso scrittore divenne muratore, così come Paolino, il ragazzino protagonista del romanzo. 
Paolino a 12 anni deve sostituirsi a suo padre, con le difficoltà connesse alla giovane età ( i muscoli, eh, i muscoli e le braccia hanno da essere forti per costruire muri) e inizia a lavorare, in un ambiente straniero e ostile, per sostenere la famiglia. 
(La famigghia, di quelle senza ombre e senza macchie: quercia e catena)
E’ un libro del 1937, pubblicato in Italia nel 1959. 
Uno spaccato della condizione degli immigrati, costretti prima alla fatica di trovare il lavoro e poi a quella di mantenerlo, fino a che morte non li separi. 
E’ il racconto di fame, fatica, angoscia, solidarietà e affetti, di feste rare e smargiasse; il racconto di una vita ridotta alla pura e semplice speranza, una speranza che è al di là dell’oggi, che s’affida alle parole delle fattucchiere e delle preghiere.

La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli. » 
E’ stato il mio pensiero ricorrente.]

Pietro Di Donato conosceva il job. 
Onde d’ambra incandescente galleggiavano sul cantiere, l’acciaio sudava minio, il palco sapeva di cenere di pineta, il mattone si fendeva in lamette rosse di argilla bruciata, nel secchio di cemento la sabbia vergine e la calce viva disegnavano brulicami grigi, e gli uomini odoravano di carni abbrustolite.” 

Il cantiere è vivo e assicura la vita, la sopravvivenza. 
E’ un mostro che si addomestica. 
Il rischio però che ingoi e maciulli è sempre presente. 
Ma la colpa, di chi è la colpa? 

Quella notte passò nell’incertezza, nella sensazione che, per qualche oscuro motivo, la famiglia di Geremia fosse dalla parte del torto, e che dalla parte del torto fossero le umili facce spaurite nei corridoi dell’Istituto Liquidazione Infortuni, e tutti coloro che vivevano alla giornata negli appartamenti sopra il loro, tutti gli uomini che sudano bestemmiano e muoiono sul lavoro; volgari e immorali tutti, di peso alla carità pubblica, impotenti di fronte al trionfante potere della legge. 
E Paolino stringeva disperatamente il cuscino. 
O Dio che sei nei Cieli, in che mondo e in che paese siamo? Abbiamo mai pensato di far male? Qual è la nostra colpa? 
Verso l’alba, Nunziatina si addormentò sulla stessa domanda: qual è la nostra colpa? 
Nati nel peccato, rispondevano i muri e il buio e l’aria e la paura.

Allora come ora, purtroppo, ancora accade.