venerdì 9 maggio 2014

Primavera di bellezza - Beppe Fenoglio

La componente autobiografica è fortemente presente in questo romanzo: Fenoglio  era studente universitario quando fu richiamato alle armi e spedito al corso di addestramento per allievi ufficiali nel 1943, prima in Piemonte (Ceva, che diventa Moana, nel libro) e poi a Roma, come Johnny,  il protagonista:
 “Al momento della chiamata alle armi si trovava a metà degli studi per diventare professore di lingua e letteratura inglese
Sono sicura che anche il “sentire” di Johnny sia  lo stesso che aveva provato talora  Fenoglio:
Beppe Fenoglio, primavera di bellezza
 “Nel filone della brezza che faceva vorticare le foglie dei pioppi come tante elichette, accennò ad aprirsi la giubba: si opposero le giberne, ma l'impedimento non valse a ricordargli ciò che le giberne rappresentavano. Dietro, gli spari echeggiavano sempre più fiochi, voci umane non gli arrivarono più. Scavalcato un arginello, gli appari l'acqua; stagnava, profonda e muta, quasi solida nella sua immobilità e nel modo con cui combaciava con l'altra riva, un arenile ammiccante sotto il sole. Da una macchia al limite della sabbia un misterioso uccello mandò il suo verso spaventato e cattivo, ultimo. Nel silenzio che seguì, Johnny si concentrò tutto nell'acqua: era sorella dell'acqua del fiume che lo aveva allevato, quella dei suoi solitari bagni mattutini, dove e quando la millimetrata immersione gli procurava una pungente lunga voluttà quale nessuna donna ancora aveva saputo regalargli.
Stremato da quell'eccesso di libertà e di oblio, dovette appoggiarsi al tronco di un pioppo; sentì la scorza tenera e tiepida, non udì la tromba lontana suonare il cessate il fuoco. Questa del fiume era la realtà, il sogno morboso era l'esercito italiano, la guerra che esso stava disastrosamente perdendo, il corso di addestramento che si teneva a Moana; gli fosse comparso dinanzi Jacoboni, o lo stesso Di Leva, avrebbe appena battuto una palpebra, persuaso di annullarlo con quel minimo moto.

Come Fenoglio,  il protagonista del romanzo è a Roma   l’ 8 settembre, il giorno dell’armistizio:  assiste allo sfascio dell’esercito, cerca di tornare a casa  vestendo abiti civili e sfuggendo lo sguardo e il mitra dei tedeschi (gran bell’impresa trovarne, di abiti civili, e risalire la penisola su treni stipati come carri bestiame)  , ma prima di arrivare a casa si imbatte nei “ribelli” e si aggrega loro, scoprendo  nella guerra contro il nemico tedesco  un  “valore”,  il senso da dare alla  propria esistenza.
Lui, Johnny, che dell’esercito e della divisa se ne infischiava una cippa, che era per natura un solitario e un  riflessivo, che avrebbe voluto tornare a “baita”, incita all’azione il piccolo gruppo di partigiani scampati all’incursione nazista che ha bruciato il paesino che accoglieva la base.

Allora Johnny disse: « Un modo ci sarebbe, di ringraziare Geo e tornarcene a casa senza sentirci troppo inferiori a uno sputo. Aspettarli al ritorno e fargliela pagare in parte. »
Modica assentì immediatamente e senza eccitazione, Cattadori e Coromer non batterono ciglio, ma Sciolla si turbò più del necessario. « Un'imboscata? Un'imboscata di noi cinque a centinaia di tedeschi? Ragazzi, vi par poco? Non dico che non la si possa fare... »

Johnny sorride alla morte che lo attende.
E’ un uomo, non uno sputo.

Eh, la Resistenza.

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