La componente autobiografica è
fortemente presente in questo romanzo: Fenoglio
era studente universitario quando fu richiamato alle armi e spedito al corso
di addestramento per allievi ufficiali nel 1943, prima in Piemonte (Ceva, che
diventa Moana, nel libro) e poi a Roma, come Johnny, il protagonista:
“Al momento della chiamata alle armi si
trovava a metà degli studi per diventare professore di lingua e letteratura
inglese”
Sono sicura che anche il “sentire” di
Johnny sia lo stesso che aveva provato
talora Fenoglio:
“Nel filone della brezza che faceva vorticare
le foglie dei pioppi come tante elichette, accennò ad aprirsi la giubba: si
opposero le giberne, ma l'impedimento non valse a ricordargli ciò che le
giberne rappresentavano. Dietro, gli spari echeggiavano sempre più fiochi, voci
umane non gli arrivarono più. Scavalcato un arginello, gli appari l'acqua;
stagnava, profonda e muta, quasi solida nella sua immobilità e nel modo con cui
combaciava con l'altra riva, un arenile ammiccante sotto il sole. Da una
macchia al limite della sabbia un misterioso uccello mandò il suo verso
spaventato e cattivo, ultimo. Nel silenzio che seguì, Johnny si concentrò tutto
nell'acqua: era sorella dell'acqua del fiume che lo aveva allevato, quella dei
suoi solitari bagni mattutini, dove e quando la millimetrata immersione gli
procurava una pungente lunga voluttà quale nessuna donna ancora aveva saputo
regalargli.
Stremato da quell'eccesso di
libertà e di oblio, dovette appoggiarsi al tronco di un pioppo; sentì la scorza
tenera e tiepida, non udì la tromba lontana suonare il cessate il fuoco. Questa
del fiume era la realtà, il sogno morboso era l'esercito italiano, la guerra
che esso stava disastrosamente perdendo, il corso di addestramento che si
teneva a Moana; gli fosse comparso dinanzi Jacoboni, o lo stesso Di Leva,
avrebbe appena battuto una palpebra, persuaso di annullarlo con quel minimo
moto.”
Come Fenoglio, il protagonista del romanzo è a Roma l’ 8 settembre, il giorno dell’armistizio: assiste allo sfascio dell’esercito, cerca di
tornare a casa vestendo abiti civili e
sfuggendo lo sguardo e il mitra dei tedeschi (gran bell’impresa trovarne, di
abiti civili, e risalire la penisola su treni stipati come carri bestiame) , ma prima di arrivare a casa si
imbatte nei “ribelli” e si aggrega loro, scoprendo nella guerra contro il nemico tedesco un
“valore”, il senso da dare alla propria esistenza.
Lui, Johnny, che dell’esercito e
della divisa se ne infischiava una cippa, che era per natura un solitario e
un riflessivo, che avrebbe voluto
tornare a “baita”, incita all’azione il piccolo gruppo di partigiani scampati
all’incursione nazista che ha bruciato il paesino che accoglieva la base.
“Allora Johnny disse: « Un modo
ci sarebbe, di ringraziare Geo e tornarcene a casa senza sentirci troppo
inferiori a uno sputo. Aspettarli al ritorno e fargliela pagare in parte. »
Modica assentì immediatamente e
senza eccitazione, Cattadori e Coromer non batterono ciglio, ma Sciolla si
turbò più del necessario. « Un'imboscata? Un'imboscata di noi cinque a
centinaia di tedeschi? Ragazzi, vi par poco? Non dico che non la si possa
fare... »
Johnny sorride alla morte che lo
attende.
E’ un uomo, non uno sputo.
Eh, la Resistenza.
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