martedì 7 ottobre 2014

Pozzoromolo - Luigi Romolo Carrino

“Sotto le fondamenta della vecchia casa, là dove sei stato concepito, c’è un pozzo che chiamano Pozzoromolo. Nel pozzo c’è un diavolo. Il diavolo custodisce un tesoro immenso . Molti uomini tentano di prendere il tesoro, scendono giù, sul fondo, si perdono nei mille cunicoli. Nessuno è riuscito mai, nessuno mai ha preso il tesoro. Uno solo, uno soltanto è tornato. Il prezzo che ha pagato, il prezzo del ritorno è stato la follia. Sotto le fondamenta della vecchia casa, la casa dove sei stato concepito, c’è un pozzo che purifica ogni malore. Nel pozzo c’è un diavolo con le ali dell’angelo custode. Il diavolo custodisce un ricordo immenso che non vuoi ricordare. Nessuno è riuscito mai, nessuno mai ha preso quel tesoro da custodire. Uno solo, uno soltanto è tornato. Uno soltanto si è calato senza una luce, ad occhi chiusi ha trovato il suo desiderio avverato ma, il prezzo che ha pagato, il prezzo che hai pagato per tornare è stato averlo dimenticato. “

Gioia è in un ospedale psichiatrico giudiziario. 
Gioia è l’uno che si è calato nel Pozzoromolo, è il diavolo che custodisce il tesoro, è il diavolo con le ali dell’angelo custode. 
Gioia è Pozzoromolo.

“Vorrei sapere anch’io perché sono qui, vorrei saperlo da dentro. Vorrei saperlo tutto quanto il motivo, e farmi uccidere da questo motivo, o farmi finalmente sopravvivere a tutto questo chiuso spazioso, a tutto questo buio sbalorditivo che viene anche di giorno. 
Io non so perché sono qui, io non ne sento la ragione.”

Nel tempo allucinato in cui il 56 maggio precede il 29 maggio, in cui il 10 agosto si itera enne volte, nel tempo senza tempo (da quanto, Gioia, sei nell’OPG?) i ricordi si ingarbugliano, si sfilacciano, si sovrappongono, sfumano nei fantasmi che di notte affollano la stanza. 
Scrive Gioia su file che si perdono nel pc o su fogli all’ombra della grande mamma quercia, o parla, e la sua voci è registrata mentre è sul letto di contenzione .
Gioia è stato un bambino solo e trascurato. 
La sua infanzia è stata segnata dalla perdita e dall’abbandono: un fratellino morto - “Luca non sei più il mio fratello ti odio, non ti ricorderò mai più, non l’ho fatto apposta che mica tenevi la piuma dell’uccello grifone tu, non ti ricorderò mai più, giuro mai più, fino a quando non me lo dici che non fa niente, che non è successo niente, che no, non fa niente, è capitato. Me lo dici, vero?” -, una mamma zoccola e distratta e crudele ma tanto amata da voler diventare bella come lei, un padre violento e arrabbiato, uno zio pedofilo. 
E tra l’infanzia e il dopo c’è Mario, il magnaccia seviziatore.
Amori cattivi, cuori strappati. 
Gioia non è gioia. E’ solo dolore. 
“Io sono sempre spavento, sempre paura, sempre io tremo tutto quanto il buio che nascondo sotto le lenzuola.”

C’è un diffuso desiderio di poesia in molti giovani scrittori italiani, come se le parole per comunicare non fossero sufficienti se abusate, chiare, nitide, semplici. 
Come se il mondo non possa essere compreso, analizzato, sentito, descritto, parlato, guardato fuori dalle metafore e dalle “sospensioni”. 
Mi difetta l’animo da poeta. 
Il poetare mi stucca la bocca, lappa la lingua, inzocca tra i denti. 
Però in questo libro non mi ha disturbata: è Gioia che lo pretende, è la sua “confusione” che lo giustifica, sono le ombre che abitano la sua mente che lo impongono. 
Ho paura di leggere  altro di Carrino. 
Di Gioia ce ne deve essere uno soltanto.