martedì 4 novembre 2014

Nadja - André Breton

"Chi è lei?" E Nadja, senza esitare: " Sono l'anima errante" 

E' la risposta a "Chi sono, io?", l'incipit del libro di Breton. 
"Chi vive? Sei tu, Nadja? E' vero che l'al di là, tutto l'al di là è in questa vita? Non ti sento. Sono io solo? Sono io?
Sono domande che non hanno risposta, perchè non vi è nessun sofisma in grado di soddisfarle, se non nel completo sovvertimento delle regole e delle certezze, così come esplicitato nella perentoria chiusura: 
"La bellezza sarà CONVULSA o non sarà."

Oltre che il racconto di un quasi amore, mi è sembrato in parte un romanzo di formazione. 
Breton era anima inquieta (come tutti gli esponenti delle avanguardie, del resto), alla ricerca di intuizioni, di segni. 
Tutta la prima parte del testo, è il racconto di esperienze che diventano "rivelazioni": il retaggio di Rimbaud, il cinema con il clone che compare tremila volte, l'incontro con Desnos, la piéce teatrale, il guanto azzurro. 
L'incontro con Nadja diventa determinante e spartiacque perchè ella è, donna in carne e ossa, l'espressione reale della sottrazione della ratio nell'agire umano. 
Breton era alla ricerca "dei collegamenti improvvisi, delle coincidenze pietrificanti" - (Nadja afferra la ringhiera e non vuole staccarsene, Nadia vede "cose" nei dipinti, nella maschera africana) - dei lampi che ci metterebbero in grado di vedere, ma di vedere davvero, se non fossero più rapidi degli altri." 

Breton impara a leggere nelle pause tra le parole dei testi, dopo Nadja. 
Coglie in lei la Bellezza.
Nadja era matta? 
Di certo fu internata in manicomio perchè non era "completamente in regola col codice imbecille del buon senso e della morale
(e ciò offre la sponda per la critica verso la psichiatria, i manicomi in senso stretto, i luoghi di contenimento, prigioni incluse, in senso lato)
Ma Breton non era pronto per Nadja, non tanto perchè "l'istinto di conservazione induce a comportarsi bene" quanto perchè 
"per quanto desiderio ne avessi, per quanto anche ne avessi forse l'illusione, credo di non essere stato all'altezza di ciò che lei mi proponeva. Ma che cosa mi proponeva? Non importa. Solo l'amore nel senso in cui io lo intendo – dico il misterioso, l'improbabile, l'unico, lo sconvolgente e indubitabile amore – quale forse può essere solo se è a tutta prova, avrebbe consentito il compiersi del miracolo."

Facendosi largo tra le dichiarazioni espresse da Breton, sull'antiletterarietà e autenticità dell'opera, che è sfida e rottura alle/delle convenzioni stilistiche e borghesi, e contemplando "l'effetto" Nadja, la melusine, la sirena, la speranza, la persona vera, amata di un amore breve e intenso – rivelatorio, trascinante e doloroso – si riesce a coglierne la trasfigurazione in senso simbolico. 
Nadja diventa l'incarnazione del surrealismo, donna di carne e ossa e pensieri che vive, contagiando, di libertà, intuito, bellezza.

Ma cosa può insegnare, comunicare, imprimere adesso un'opera come Nadja, espressione pura e programmatica di uno stile, oltre che artistico, di vita? 
Io non lo so, in generale. 
A me ha dato poco, oltre al sentimento della meraviglia dell'imprevisto e dell'imprevedibile. 
Forse dovrei far risuonare come risuonava in Breton, una frase di Nadja: 
"non appesantire i propri pensieri con il peso delle proprie scarpe."

E' la difficoltà che sento quando mi rapporto alle avanguardie (storiche e non). 
La fusione tra arte e vita. 
(bell'affare, volendo, potendo)