sabato 7 marzo 2015

Scritti pornografici - Boris Vian

Vian scritti pornografici
E pensavo tutt'altra cosa.
Il testo dell'intervento alla conferenza "Nécéssité d'un érotisme littéraire", cinque poesie e il raccontino "Drencula" , questi sono gli scritti pornografici.
(complimenti alla casa editrice – gran titolo specchietto per le allodole – 9 euri un tascabile formato e spessore cartolina )
Ci si dovrebbe chiedere che cosa significhi pornografico.

Boris Vian afferma, nel testo della conferenza, che "non c'è una letteratura erotica".
In realtà le riflessioni su De Sade (non è letteratura erotica, ma neanche letteratura), sulla Bibbia come testo erotico, e in generale su quale funzione possa avere la letteratura erotica sono dichiarazioni a sostegno dell'imbecillità della censura.
"un buon rivoluzionario deve cedere all'entusiasmo solo quando è venuta l'ora x. Fino a quel momento, combattiamo il nemico con i mezzi maligni e perfidi di cui disponiamo e cerchiamo di mettere zizzania tra le sue file."
Del resto, come dargli torto quando afferma che "non c'è letteratura erotica se non nell'animo dell'erotomane?"
"...I problemi che riguardano l'utilità della letteratura erotica rinviano esattamente al problema dell'utilità di ogni letteratura...".
Dissacrazione, gioco, musica, libertà dell'invenzione linguistica e contenutistica, per Vian.

Chissà quanto Vian avrebbe apprezzato che questi suoi scritti venissero riuniti sotto il titolo "scritti pornografici".
Molto poco, credo. 
Erosdissacratori, più che altro.

venerdì 6 febbraio 2015

Io sono Febbraio - Shane Jones

Dice il balloon, ovvero la mongolfiera disegnata sulla custodia che racchiude il libro (ma quanto è figo, questo libricino inscatolato, che bella grafica!):
io sono Febbraio è un romanzo allegorico e struggente, un piccolo scrigno di invenzioni letterarie e immagini poetiche. Shane Jones, con una prosa lirica ed evocativa, racconta una surreale fiaba invernale, la storia di un’umanità oppressa che non ha perso la speranza e ha ancora la forza di lottare.

Il piccolo scrigno ci sta, è quello che contiene il libro.
Se fosse stato tutto così come dice la mongolfiera, i requisiti perché il libro potesse piacermi ci sarebbero stati tutti.
D’accordo sulla metafora e sull’allegoria.
Febbraio è un mese pieno di freddo e di tristezza (e il carnevale?), è allegoria del depression mode, tarpa le ali ( proibisce il volo) e copre tutto con una coltre grigia.
Febbraio uccide sogni e speranze (i bambini non sono forse la speranza dell’umanità? Il futuro, ça va sans dire).
E allora è giusto, se Febbraio decide di durare cento e cento e ancora cento giorni, che si scateni la ribellione, la lotta fatta a botta di briciole di pergamena e di secchi d’acqua calda, fino al suo annientamento.

Ma c’è qualcosa che non funziona, che non quadra, le immagini poetiche e le invenzioni letterarie sono pretestuose e sanno di cartonato (cartoons, proprio).
La ragazza che sapeva di miele e fumo voleva stare con un uomo che avesse le seguenti caratteristiche: (1) Va a tagliarsi i capelli. (2) Ha un reddito dignitoso. (3) Indossa vestiti ben fatti e della taglia giusta. (4) Si comporta da uomo. (5) Ha un aspetto sano. Guardando Febbraio seduto sul pavimento, che ogni tanto scriveva qualcosa, non vide nulla di tutto questo. (…)
Ogni tanto lo vedeva in camera da letto mentre si sforzava di finire la terza flessione, e notava la massa spettinata di capelli, il corpo a tubo che tremava tutto, i vestiti ammucchiati, la bicicletta appoggiata al muro di cartongesso e tutto ciò le ricordava quello che non aveva, le possibilità che la aspettavano fuori da quelle pareti scure.

Sono le pagine 125 e 126, a dare il senso di una intuizione che poteva essere buona ma che si è sfrantummata in mille fumi di pochezza: l’umanità oppressa è una finzione, l’umanità oppressa è una sola, la ragazza che sa di miele e fumo, che si è rotta le palle di quel cazzo di musoappeso del suo compagno Febbraio, facciamo che ci inventiamo una storiella, e scrivi tu e scrivo io.
Ma Febbraio è quello che è e non può fare niente per cambiare, dalla depressione non si esce, sicchè a finale, Febbraio deve morire, e sarà uno dei personaggi della storiella inventata a 4 mani a schiantarlo, e così si cambia la storia del mondo che diventa sorridente e colorata, sempre estate e sempre caldo, fiori in bocca e via la tristezza.

Il libro è solo una figata estetica, supportata da involucro, copertina, e gioco dei font, carattere micro, carattere grande grande, corsivo, grassetto, due frasi in una pagina.
(‘o papocchio)
Fumo, miele(nso), e poco arrosto.

(Di Boris Vian ce n’è stato uno solo)

venerdì 16 gennaio 2015

Le opere infinite - Roberto Piumini

Roberto Piumini ama l’arte.
Si capisce, si sente.
Ne “Lo stralisco”, il pittore Sakumat crea il mondo per il ragazzo che non può “vederlo” perché la sua malattia gli impedisce di uscire alla luce del sole, dipingendo le pareti della sua casa/prigione.
Alla morte del ragazzo, il pittore sente finito il suo compito e abbandona il mestiere diventando un pescatore.

Arte e vita; arte è vita.

Il tema è ripreso nei due racconti che compongono “Le opere infinite”: “Il quadro non finito” e “Il pianto di Piero”.
Nel primo racconto, il collezionista Montgrève resta incantato da un quadro di un pittore che incarna il cliché dell’artista sregolato e bohémien: a commuoverlo non è solo la perfezione pittorica, “ma qualcosa di più intimo e potente: come se nel quadro di Terpier apparisse la pienezza, la figura compiuta e il senso felice della sua vita.
Ma il pittore sfrutta a suo vantaggio il principio del non finito, e cede il suo quadro a condizione che possa ritornare a osservarlo nella casa del collezionista e a “completarlo” quando si sentirà pronto.
Nel suo ultimo tocco, si rivela il senso della vita del pittore, e il collezionista, una volta anche lui aspirante pittore, riprende i pennelli per “deviare” nuovamente il corso del quadro.

Nel secondo racconto, Piumini sfrutta un dato storico, la presenza di Piero della Francesca a Loreto per affrescare la sagrestia della Chiesa di Santa Maria, opera rimasta incompiuti a causa dell’epidemia di peste che colpì le Marche tra il 1447 ed il 1452 e costrinse l’artista ad allontanarsi, per raccontare in modo surreale come la pittura possa “vivere” la Storia.

Son due racconti di “atmosfera” (che cazz di espressione, ma non me ne viene in mente una più adatta), ben lontani tuttavia dalla felicità narrativa e dalla poeticità de “Lo Stralisco”, non a torto ritenuto il “capolavoro” di Piumini.

domenica 11 gennaio 2015

Le ceneri di Angela - Frank McCourt

Frank McCourt
Io sono un uomo fortunato.
Così  Frank McCourt conclude la pagina dei ringraziamenti,  “un breve inno in lode della donna” .
Fortunato davvero,  per essere sopravvissuto ad un’ infanzia come quella che descrive ne Le ceneri di Angela, romanzo autobiografico, anche ammesso  che  solo la metà dei  fatti  raccontati  siano veri.

I McCourt erano emigrati in America, ma la grande depressione del ’29 li costringe a ritornare in patria, in un’Irlanda povera  quanto l’ex regno borbonico, dove se andava bene si poteva riempire lo stomaco con pane  inzuppato nel  te, e il pranzo natalizio consisteva  in  una lussuosa patata   e  capa di porco o di pecora bolliti.
Pulci e  pidocchi, malattie infettive e polmoniti, scarpe scollate e piedi scalzi,  mazzate ,  padri che si bevono i soldi della paga settimanale quando raramente riescono a trovare lavoro o il  sussidio di disoccupazione  e madri che si sciupano davanti  alle ceneri spente dei camini, maestri con  bacchetta e frustino, zie acide e nonne crudeli,   e su tutto l’ombra gigantesca del peccato che, per voce di preti e suore e beghine e bigotte, si sparge su ogni azione umana, ma tant’è “se si commette un peccato tanto vale commetterne altri perché la condanna è sempre quella. Un peccato: supplizio eterno. Dieci peccati: idem.

Eppure, non vi è acredine, rabbia, disperazione, autocommiserazione:  il racconto è attraversato un brio umoristico e da una vena  quasi poetica  - una grazia amorevole - , da un incanto bambino.
Si ride (l’episodio della dentiera  incastrata nella bocca del fratello minore è esilarante) e ci si commuove, senza mai smettere di provare un’empatia fortissima per Frank/Francis e per i suoi scalcagnati fratelli, per i vivi e per quelli morti, per sua madre Angela.
(il padre,  che li abbandona dopo aver investito  ogni monetina  nei pub riempiendo  il suo stomaco beone, nonostante Frank non arrivi mai a disprezzarlo veramente, lo avrei intorzato di mazzate).


Un bel libro, paradossalmente rasserenante. 

giovedì 8 gennaio 2015

Perchè leggere i classici - Italo Calvino

Già. Perché leggere i classici?
Perché “è meglio che non leggere i classici.

Questa è la conclusione a cui giunge Calvino, dopo aver cercato di definire quali siano i libri da considerare “classici”, nel saggio introduttivo della raccolta.
Calvino cercava – e si deduce anche dalle sue preferenze   letterarie – di dare ordine al mondo, un ordine che è esercizio della mente, nel disordine delle pulsioni e passioni.
Ma dietro la scorza del rigore intellettuale c’è il magma infuocato, e perciò ho trovato   molto più affascinante del saggio sul Perché leggere i classici,  l’elencazione “infinita” degli amori letterari, la risposta  per le Nove domande sul Romanzo poste dalla rivista “Nuovi Argomenti” nel 1959, riportata a mò di prefazione, di cui queste sono le righe conclusive:
…Amo Gogol perché deforma con nettezza, cattiveria e misura. Amo Dostoevskij perché deforma con coerenza, furore e senza misura. Amo Balzac perché è visionario. Amo Kafka perché è realista. Amo Maupassant perché è superficiale. Amo la Mansfield perché è intelligente. Amo Fitzgerald perché è insoddisfatto. Amo Radiguet perché la giovinezza non torna più. Amo Svevo perché bisognerà pur invecchiare. Amo…

La stessa passione (amo, amo) si legge nei saggi raccolti in questo volume (straordinario il tributo alla poesia di Montale “Forse un mattino andando in un’aria di vetro”) , trentasei  interventi scritti soprattutto negli anni ’70 e ’80  su autori e opere  diversissimi per tempo e spazio e stile,  da Omero a Queneau, dalla “Storia Naturale” di Plinio il Vecchio al” Pasticciaccio” di Gadda.
Di vari  autori  non ho letto nulla:  niente di  Senofonte, Ovidio, Plinio, Nezami(?), Martorell e il  poema cavalleresco Tirant lo Blanc (??), Gerolamo Cardano (???) , Voltaire,  Diderot,  Ortes (????), Stendhal, Stevenson, Pasternak – ma per ‘sto russo non è proprio scattata manco la curiosità.

Mi conforta  lo stesso Calvino:
per vaste che possano essere le letture di “formazione” d’un individuo, resta sempre un numero enorme d’opere fondamentali che uno non ha letto.”
E ancora:
il leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario”.

Sono  finiti  nella lista dei desideri “L’Altro Mondo, ovvero Stati e Imperi della Luna” di Savinien de Cyrano  (e io che pensavo fosse solo  un personaggio immaginario creato dalla penna di Rostand),   “Il nostro comune amico” di Dickens, “Daisy Miller” di Henry James, “L’uomo che corruppe Hadleyburg” e   Il pasticciaccio di Gadda che ri-proverò a ri-leggere per l’ennesima volta.


Su suo pungolo,  spero di poter  godere ancora di molti piaceri straordinari.

sabato 3 gennaio 2015

Il museo immaginato - Philippe Daverio

L'idea è bellissima.
Farsi il museo a proprio uso e consumo, scegliendo i quadri secondo percorsi affettivi, intimi, estetici, tematici, assolutamente personali. 

Un gioco divertente, e assai si sarà compiaciuto il professore Daverio Filippo a organizzarlo, immaginando anche gli spazi del museo, le sale, le stanze, gli annessi e i connessi.
Carino anche lo schizzo a matita della disposizione delle tele sulle pareti che anticipa la descrizione delle stanze/sale..
Una pinacoteca abbastanza classica, la verità, sia nella struttura museale che nella scelta delle opere.
(quasi la totalità dei dipinti sono espressioni di artisti europei dal 1200 al 1800, sforano i suddetti limiti temporali solo pochissime opere, tra cui “L’origin du monde” di Courbet.
 Attrazione inevitabile. )

Daverio, ho collegato solo dopo aver comprato il libro (eh, di tanto in tanto mi vengono gli attacchi di bulimia e faccio incarrettate indifferenziate prelevando dalla lista dei desideri senza manco rivedere come e perché certi libri ci erano finiti, in quella lista), è l’ideatore nonché conduttore della trasmissione televisiva Passepartout.
Mi è capitato qualche volta di vederne stralci. Solo stralci, nonostante l’ interesse, perché la voce del professore ha su di me un potentissimo effetto tedi/irrit/disturb -ante, sicchè l’attenzione mi si sposta in automatico altrove.
L’assenza di “audio” ha giovato: meglio leggerlo che ascoltarlo, il Filippo (e molto meglio guardare i dipinti e solo quelli che non il commentatore).
Di tanto in tanto, soprattutto quando la minuzia del racconto dinastico/storico ha prevalso sul racconto “estetico”, c’è stata una caduta di tono, e talvolta ho provato una sorta di delusione rispetto alle aspettative, quando il filo che lega le opere è rimasto sotto forma di embrione , o quando riguardo le tele poche e scarne sono state le notiziole, e tutte note e stranote.

Se avessi tempo e non fossi di natura accidiosissima, coglierei allora al volo l’invito dell’autore, solo per divertimento strettamente personale, ovviamente:
La stessa opportunità viene offerta al lettore, il quale, da solo o con gli amici, è invitato a inventare il proprio museo ideale. Il vasto cosmo dell’editoria internazionale sarà felice, avendo tanto tempo da investire, di esaminare le proposte che gli perverranno.
(sticazzi, Filippo)