“Io sono un uomo fortunato.”
Così Frank McCourt
conclude la pagina dei ringraziamenti,
“un breve inno in lode della donna” .
Fortunato davvero, per
essere sopravvissuto ad un’ infanzia come quella che descrive ne Le ceneri di
Angela, romanzo autobiografico, anche ammesso
che solo la metà dei fatti
raccontati siano veri.
I McCourt erano emigrati in America, ma la grande
depressione del ’29 li costringe a ritornare in patria, in un’Irlanda
povera quanto l’ex regno borbonico, dove
se andava bene si poteva riempire lo stomaco con pane inzuppato nel te, e il pranzo natalizio consisteva in una
lussuosa patata e capa di porco o di pecora bolliti.
Pulci e pidocchi,
malattie infettive e polmoniti, scarpe scollate e piedi scalzi, mazzate ,
padri che si bevono i soldi della paga settimanale quando raramente riescono
a trovare lavoro o il sussidio di
disoccupazione e madri che si sciupano
davanti alle ceneri spente dei camini,
maestri con bacchetta e frustino, zie
acide e nonne crudeli, e su tutto l’ombra gigantesca del peccato che,
per voce di preti e suore e beghine e bigotte, si sparge su ogni azione umana,
ma tant’è “se si commette un peccato tanto vale commetterne altri perché la
condanna è sempre quella. Un peccato: supplizio eterno. Dieci peccati: idem. “
Eppure, non vi è acredine, rabbia, disperazione, autocommiserazione: il racconto è attraversato un brio umoristico
e da una vena quasi poetica - una grazia amorevole - , da un incanto
bambino.
Si ride (l’episodio della dentiera incastrata nella bocca del fratello minore è
esilarante) e ci si commuove, senza mai smettere di provare un’empatia
fortissima per Frank/Francis e per i suoi scalcagnati fratelli, per i vivi e per
quelli morti, per sua madre Angela.
(il padre, che li
abbandona dopo aver investito ogni
monetina nei pub riempiendo il suo stomaco beone, nonostante Frank non
arrivi mai a disprezzarlo veramente, lo avrei intorzato di mazzate).
Un bel libro, paradossalmente rasserenante.
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