venerdì 16 gennaio 2015

Le opere infinite - Roberto Piumini

Roberto Piumini ama l’arte.
Si capisce, si sente.
Ne “Lo stralisco”, il pittore Sakumat crea il mondo per il ragazzo che non può “vederlo” perché la sua malattia gli impedisce di uscire alla luce del sole, dipingendo le pareti della sua casa/prigione.
Alla morte del ragazzo, il pittore sente finito il suo compito e abbandona il mestiere diventando un pescatore.

Arte e vita; arte è vita.

Il tema è ripreso nei due racconti che compongono “Le opere infinite”: “Il quadro non finito” e “Il pianto di Piero”.
Nel primo racconto, il collezionista Montgrève resta incantato da un quadro di un pittore che incarna il cliché dell’artista sregolato e bohémien: a commuoverlo non è solo la perfezione pittorica, “ma qualcosa di più intimo e potente: come se nel quadro di Terpier apparisse la pienezza, la figura compiuta e il senso felice della sua vita.
Ma il pittore sfrutta a suo vantaggio il principio del non finito, e cede il suo quadro a condizione che possa ritornare a osservarlo nella casa del collezionista e a “completarlo” quando si sentirà pronto.
Nel suo ultimo tocco, si rivela il senso della vita del pittore, e il collezionista, una volta anche lui aspirante pittore, riprende i pennelli per “deviare” nuovamente il corso del quadro.

Nel secondo racconto, Piumini sfrutta un dato storico, la presenza di Piero della Francesca a Loreto per affrescare la sagrestia della Chiesa di Santa Maria, opera rimasta incompiuti a causa dell’epidemia di peste che colpì le Marche tra il 1447 ed il 1452 e costrinse l’artista ad allontanarsi, per raccontare in modo surreale come la pittura possa “vivere” la Storia.

Son due racconti di “atmosfera” (che cazz di espressione, ma non me ne viene in mente una più adatta), ben lontani tuttavia dalla felicità narrativa e dalla poeticità de “Lo Stralisco”, non a torto ritenuto il “capolavoro” di Piumini.

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