venerdì 6 febbraio 2015

Io sono Febbraio - Shane Jones

Dice il balloon, ovvero la mongolfiera disegnata sulla custodia che racchiude il libro (ma quanto è figo, questo libricino inscatolato, che bella grafica!):
io sono Febbraio è un romanzo allegorico e struggente, un piccolo scrigno di invenzioni letterarie e immagini poetiche. Shane Jones, con una prosa lirica ed evocativa, racconta una surreale fiaba invernale, la storia di un’umanità oppressa che non ha perso la speranza e ha ancora la forza di lottare.

Il piccolo scrigno ci sta, è quello che contiene il libro.
Se fosse stato tutto così come dice la mongolfiera, i requisiti perché il libro potesse piacermi ci sarebbero stati tutti.
D’accordo sulla metafora e sull’allegoria.
Febbraio è un mese pieno di freddo e di tristezza (e il carnevale?), è allegoria del depression mode, tarpa le ali ( proibisce il volo) e copre tutto con una coltre grigia.
Febbraio uccide sogni e speranze (i bambini non sono forse la speranza dell’umanità? Il futuro, ça va sans dire).
E allora è giusto, se Febbraio decide di durare cento e cento e ancora cento giorni, che si scateni la ribellione, la lotta fatta a botta di briciole di pergamena e di secchi d’acqua calda, fino al suo annientamento.

Ma c’è qualcosa che non funziona, che non quadra, le immagini poetiche e le invenzioni letterarie sono pretestuose e sanno di cartonato (cartoons, proprio).
La ragazza che sapeva di miele e fumo voleva stare con un uomo che avesse le seguenti caratteristiche: (1) Va a tagliarsi i capelli. (2) Ha un reddito dignitoso. (3) Indossa vestiti ben fatti e della taglia giusta. (4) Si comporta da uomo. (5) Ha un aspetto sano. Guardando Febbraio seduto sul pavimento, che ogni tanto scriveva qualcosa, non vide nulla di tutto questo. (…)
Ogni tanto lo vedeva in camera da letto mentre si sforzava di finire la terza flessione, e notava la massa spettinata di capelli, il corpo a tubo che tremava tutto, i vestiti ammucchiati, la bicicletta appoggiata al muro di cartongesso e tutto ciò le ricordava quello che non aveva, le possibilità che la aspettavano fuori da quelle pareti scure.

Sono le pagine 125 e 126, a dare il senso di una intuizione che poteva essere buona ma che si è sfrantummata in mille fumi di pochezza: l’umanità oppressa è una finzione, l’umanità oppressa è una sola, la ragazza che sa di miele e fumo, che si è rotta le palle di quel cazzo di musoappeso del suo compagno Febbraio, facciamo che ci inventiamo una storiella, e scrivi tu e scrivo io.
Ma Febbraio è quello che è e non può fare niente per cambiare, dalla depressione non si esce, sicchè a finale, Febbraio deve morire, e sarà uno dei personaggi della storiella inventata a 4 mani a schiantarlo, e così si cambia la storia del mondo che diventa sorridente e colorata, sempre estate e sempre caldo, fiori in bocca e via la tristezza.

Il libro è solo una figata estetica, supportata da involucro, copertina, e gioco dei font, carattere micro, carattere grande grande, corsivo, grassetto, due frasi in una pagina.
(‘o papocchio)
Fumo, miele(nso), e poco arrosto.

(Di Boris Vian ce n’è stato uno solo)

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