mercoledì 1 maggio 2013

Signora in rosso su fondo grigio - Miguel Delibes


“Io non so immaginare la mamma come una maschera, a sbavare in un ospedale psichiatrico o paralizzata per il resto della vita. Se la morte è inevitabile, non sarà stato meglio così?”

Miguel Delibes

E’ una domanda aperta, la conclusione del romanzo.
(Io ho la mia risposta. Non ci si rassegna alla morte, ma è ancora più  difficile rassegnarsi alla non vita).
Il narratore, un artista in preda al vuoto creativo e affettivo, ripercorre le tappe della sua vita –la malattia e al morte di Ana, sua moglie -  raccontando/raccontandosi  come in una lunghissima lettera rivolta alla figlia,  di ritorno dal carcere, detenuta  per motivi politici ( sono gli anni della fine del franchismo in Spagna).
Il ritratto della signora Ana è quello di una donna “che con la sua sola presenza alleggeriva il peso del vivere”, discreta e gioiosa, un tocco di farfalla.
Ana è madre di una  caterva di figli;  ma a quasi 50 anni è sottile e slanciata, non  un filino di ciccia o una smagliatura, bella e tosta, come una ragazzina.
La malattia le avrebbe  lasciato segni: paralisi del volto, tuttavia sempre meglio di un chilo in più.
Un imprevisto, dopo l’intervento chirurgico, le impedirà di invecchiare.

 “Quando qualcuno di indispensabile ti lascia per sempre, rivolgi gli occhi dentro di te e non trovi altro che banalità, perché i vivi, paragonati ai morti, risultano insopportabilmente banali. (…) Un giorno ti accorgi che chi ti aiutò a essere quello che sei non è più al tuo fianco e allora ti duoli inutilmente della tua ingratitudine. Forse le cose non possono andare diversamente, ma è così difficile da accettare. L’impossibilità di poter recuperare il passato e correggerlo è una delle limitazioni più crudeli della condizione umana. La vita sarebbe più tollerabile se disponessimo di una seconda opportunità.”

Non c’è niente da fare, è così.
La morte cancella i peccati ai defunti  e ne addossa  ai viventi. 

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