giovedì 24 maggio 2012

Quelli dalle labbra bianche



Quelli dalle  labbra bianche  ce le hanno così per la fame e il freddo.
Sono  i poveri, i “mammutones”, i vinti.
Quelli destinati a curvarsi per fare le cavalline, mentre i ricchi saltano e non si curvano mai.

E’ Daniele Mele, il campanaro, l’unico sopravvissuto, davanti al catafalco dove dopo venti anni  ardono le nove candele in memoria dei compaesani mandati a morire sul fronte russo nel nome della patria ,  a raccontare la guerra, la prigionia, la morte, ma anche il legame tenacissimo con la propria terra, quando “in mattini incredibilmente chiari, le due squadre di ragazzi, i ricchi e i poveri, del tutto immemori di essere nemici (…) ci avventuravamo lontano”, tra i fichidindia rossi, i prati di asfodeli e ferule, le tanche di mirto e lentischio, le querce e i campi di granturco, nei  luoghi dove “era la nostra festa, il nostro paradiso”.

Eppure, il racconto della tragedia si tinge di quell’irresistibile capacità popolare di trasformare in farsa il dramma, di alleggerire la terribilità degli eventi attraverso il grottesco.
“Ci calammo anche noi dentro la fossa. Sembravamo cinque pecore rognose cadute in un fosso. Eravamo entrati a campare la vita dove stava la morte.”
Si legge, il libro di quelli dalle labbra bianche, con gli occhi tremuli, il cuore gonfio e una sorta di amaro sorriso.
E  mi chiedo perché, libri così, debbano essere così poco conosciuti.

Dunque. 

Scaricatavillo.

http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&s=17&v=9&c=4463&id=737

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