venerdì 15 novembre 2013

Il tempo di una canzone - Richard Powers

Richard Power - il tempo di una canzone
Il tempo di una canzone dura quanto un assolo, e mille anni. 
Esiste ancora il razzismo? Non lo so, vedo a colori. 
Lo scontro, adesso, qui (e sempre e dovunque) non è tanto tra razze, quanto tra modus vivendi. 
Ma in America, almeno fino agli anni ’60, il fattore razziale non era bazzecola. 
Essere neri, o diversamente colorati, significava non essere bianchi, e dunque non essere. 
Powers scrive di questo (e di molto altro). 
Il filo conduttore è la storia di un pesce e di un uccello che si innamorano. 
I loro figli, cresciuti non ad occhio, ma ad orecchio, musica e canto formano le parole del pensiero, citazioni impazzite, mescolio di suoni che fondono le Storie dell’uomo, - Chi sono? Chi vorrai essere - , pensano che l’albero su cui i genitori hanno costruito il nido sia stato abbattuto, e volano oltre il cielo, (come angelo), o nuotano sotto l’ acqua (come pantera – sì, lo so, capirà chi legge il libro), o stanno immobili, trascinati dalla corrente (come foglia). 
Me è solo una questione di tempo. 
Relativa, molto relativa. 
“Il tempo non scorre, ma è. In un mondo così, tutte le cose che saremo o siamo stati, le siamo. Ma poi, in un mondo così, chi siamo deve essere tutte le cose.” 
Aprire gli occhi e vedere che il nido non era sull’albero, ma a pelo d'acqua, sul filo dell'orizzonte. 
Lì dove c'è il passato e il presente e il futuro, il melting pot e il sogno americano in tecnicolor. 
(ecco, forse sul finale happy happy we are the future non mi ci ritrovo granchè)

La storia di David e Delia, uccello e pesce, fisico ebreo tedesco bianco lui, cantante della classe alta nera lei, e dei loro figli "diversamente colorati", Johan, Joseph e Ruth, delle stirpi familiari dei vivi e dei morti, vengono raccontate dal secondogenito, e coprono il lungo secolo breve, mettendo in note conflitti interiori, familiari, di stirpe, di razza, di nazioni, di civiltà. 
La musica è il sottofondo costante. 
Musica che salva e che marchia, che unifica e che divide. 
Ma alla fine, si deve convenire, le note sono un alfabeto comune a tutti i linguaggi. 
Delia e David erano avanti, molto avanti. 
(non sempre i figli sono migliori dei genitori)

Se avessi avuto un minimo di conoscenze musicali (a parlar di suoni coi sordi è dura) me lo sarei goduto di più. 
Se fosse stato più breve, anche. 
Limiti miei, perché il libro è davvero bello.

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