domenica 3 novembre 2013

La lucina - Antonio Moresco

la lucina - moresco
La lucina è un breve romanzo , anzi, con le parole dell’autore all’editore, “ è una piccola luna che si è staccata dalla massa ancora in fusione del mio nuovo romanzo, che si intitolerà Gli increati. 
La lucina è nata da uno spunto di poche righe, solo una piccola scena annotata negli appunti che ho buttato giù per anni in vista degli “Increati”.
Ecco, leggendo questo libricino, non so se mi verrà mai voglia di leggere gli Increati, quando (e se, dato il titolo) sarà pubblicato.
Eppure La lucina è un libro che s’attacca, non passa via facilmente, perché induce il lettore a porsi un’infinità di domande, ancora più di quante se ne faccia il protagonista della storia, un uomo che decide di “scomparire” ritirandosi in un borgo abbandonato sulle montagne, avviluppato in una natura che sembra prendersi la rivincita sulla cultura, su tutto ciò che l’uomo ha costruito.
La natura, in un’ottica che si focalizza sulla lotta per la sopravvivenza, è descritta in modo struggentemente poetico, seppure violento e virulento. 
Tutto il paesaggio, gli animali, la vegetazione, perfino la crosta terrestre coi suoi sobbalzi, hanno una ferocia e una resistenza, una volontà di imporsi e di esistere, anche attraverso le tracce che del passato restano nel presente - come le foglie secche e gli animali morti che diventano humus e alimento per le nuove piante - da lasciare annichiliti. 
(il passo della farfalla che pure morta e stecchita non va giù nonostante i trecento scarichi del gabinetto, fin quando non viene avvolta nel sudario di carta igienica affinchè possa diventare più pesante ed essere trascinata giù dalla forza dell’acqua, è straordinariamente efficace).
La volontà di sopravvivenza e di continuità è la medesima nella specie umana, tale che non sembra piegarsi neanche nella solitudine più estrema, poiché vi è sempre un richiamo, una lucina, che riporta persino il più solitario degli uomini, a cercare il suo posto nel cerchio infinito della vita che travalica ogni cosa “visibile” e persino la morte.

Tuttavia. 
Non riesco a empatizzare con una visione così tragica della natura, mi sono estranei il senso doloroso del riprodursi, la violenza cosmica, la trascendenza ad un tot al chilo. 
Non potrei mai farmi domande sugli extraterrestri, chiedendomi se “La loro vita sarà infelice come la nostra? Anche per loro solo il dolore e il male porteranno distrazione, almeno per qualche istante, all’infelicità? Avranno anche loro quel sogno breve e crudele che è stato chiamato amore?” 
(e cazz, pure l’amore è un sogno crudele mò?) 
Inoltre ho trovato il libro molto debole nella trama, e pur riconoscendo che la storia in questo libro è un accidente periferico, essendo volutamente impregnata di vuoti, labile e fumosa come può essere la trama di un sogno , non riesco ad ignorare certe sequenze che, per il fatto stesso di essere state scritte, hanno un loro peso narrativo. 
Ecco, penso per esempio al sapore patetico della scuola dei bambini morti e al suo custode, attaccato per l’eternità al suo ruolo di bidello (e immagino che anche il maestro cattivo lo sarà per sempre). 
E poi. 
Detesto la pasta al burro. Mi viene una tristezza infinita solo a guardarla.


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