giovedì 20 giugno 2013

Diario di Irlanda - Heinrich Böll

In 50 anni cambiano moltissime cose. 
Soprattutto se i 50 anni in questione sono quelli che separano l’oggi dalla metà del secolo scorso. 
(25 anni vedevo come fantascientifica, nonché desiderabilissima, l’ipotesi di poter telefonare e vedere contemporaneamente le facce, che certi silenzi, certi borbottiì, senza gli occhi non riuscivo a decodificarli)

L’Irlanda raccontata da Boll nel 1957 era diversa da quella di adesso. 
diario d'irlanda - boll
Di sicuro ora si emigra di meno, di sicuro ci sono meno preti in giro, di sicuro le donne, “le creature operose di questa terra”, hanno trovato posto nelle bettole tra il whisky e la birra. 
In epigrafe al libro Boll scriveva: “Questa Irlanda esiste: ma chi ci va e non la trova, non può chiedere risarcimenti all’autore.” 
Sono contenta di esserci andata prima di aver letto il libro. 
Dominano i miei ricordi il verde e la pioggia dolce, i cimiteri trafitti da centinaia di croci celtiche, l’attesa che un lepricano spuntasse da un sasso muschioso degli infiniti pascoli (è incredibile quanto sia verde, l’Irlanda, anche alle porte di Dublino) e quel gusto che definirei “pittoresco” prendendo a prestito il termine dalla storia dell’arte, nel lasciare in stato di finto abbandono le rovine delle antiche abbazie.
“…non si avverte traccia alcuna di violenza. Il tempo e gli elementi con infinita pazienza si sono divorati tutto quello che non era pietra e dalla terra crescono cuscini su cui le ossa si posano come reliquie: il muschio e l’erba.”

Se l’avessi letto prima, non l’avrei trovata, l’Irlanda di cui Boll racconta, perché mi sarei ostinata a cercarla. 
E invece.
“IL folklore è un po’ come l’ingenuità: quando ci si accorge di averla, si è già perduta”

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