sabato 17 agosto 2013

Il tessitore di vite - Titti Marrone

Titti Marrone è una giornalista. Ha scritto per il Mattino di Napoli per molti anni. 
Conosce bene, e si vede, il mondo delle redazioni. 
(Il personaggio del romanzo che ritengo più "credibile" è proprio una giornalista.) 
Il libro è ispirato ad una storia vera, ad una notizia di cronaca 
Nella postfazione la Marrone  dice che la   notizia  rivelava di una donna che aveva venduto tutti i suoi 14 figli: 
“Ci colpì tutti, ma via via, nel corso della giornata, venne soffocata da avvenimenti che la fecero scolorire. Sopraffatta da politica, economia, nera, subì quello scivolamento all’indietro che la portò ad essere confinata in una delle ultime pagine. 
Ma a me parve forte. Pensai che volesse farsi narrare e non dovesse andare sprecata. Ho provato a farlo, convinta come sono che si dovrebbe sempre scrivere di ciò che si ha sottomano, scegliendo le storie da raccontare tra le cose vicine e tangibili.” 
Mah. 
Una dichiarazione di intenti che mi lascia perplessa. 
Sempre? 
E la fantasia, l’invisibile? 
E’ uno dei modi del raccontare, non il modo. 

Comunque. 
Non me ne frega un cippone di spoillerare, tanto il libro non è un giallo. 
Il perché e il percome della vendita sono giusto abbozzati, l’interesse della Marrone è nell’effetto che il fatto ha su chi è stato venduto ed ha scoperto di sapere che non è quello che pensava di essere.
Il sangue non è acqua, ma quasi. 
E’ un tessuto connettivo allo stato liquido costituito quasi dal 90% da acqua. 
(dici niente) 
Il sangue non è acqua, pare che in tutto il libro questo sia il moto ispiratore, tranne nel finale, dove vivvaddio, si lascia intravedere che genitori e figli si è tali solo perché si vive da genitori e da figli, non per un meccanismo puramente biologico. 
(E fratelli e sorelle lo si è per lo stesso motivo) 
Il tessitore di vite è Riccardo, uno dei figli venduti, che scoperto il magagnone, si prende la briga di ritrovare i fratelli (alcuni) per “ricomporre” la famigghia di sangue. 
Però trovo che il motivo forte della storia si sia in realtà annacquato in un bisogno secondario, ovvero raccontare le vite dei personaggi, le sei singole storie: quella di Riccardo il tranquillo (e ci mancherebbe, casa a Bacoli nel verde e vista mare, famiglia da mulino bianco), quella di Massimo l’antropologo professore esimio in piena crisi esistenziale e professionale, quella di Caterina la sociologa professoressa esimia in piena crisi esistenziale e professionale, quella di Lia la giornalista (Titti Marrone) in piena crisi esistenziale e professionale, quella di Miranda la nemesi, madre di una figlia comprata, in piena crisi esistenziale, che chi campa di rendita e di soldi spasi al sole almeno si risparmia la crisi professionale, e Pietro in drammaticissima crisi esistenziale e professionale, perché fare il venditore di mine antiuomo ed essere scoperto dalla figlia peace and love può pure produrre qualche scombussolamento.

Insomma. 
Date le sei vite, mi spiego perché nessuno dei personaggi abbia avuto la reazione che avrei avuto io, ovvero mandare affanculo senza alcun ripensamento o dubbio il fratello ritrovato.

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