domenica 13 ottobre 2013

Il vangelo secondo Biff - Christopher Moore

Biff
Moore, autore da cazzeggio per eccellenza, ha avuto un’idea  geniale, raccontando la  storia  del leader  maximo del cristianesimo, visto con l’ottica di un amico la cui presenza è cancellata da  tutti i vangeli.

Levi detto Biff era un discepolo. Anzi, molto più che un discepolo, più ancora che il primo discepolo: era l’amico del cuore di Gesù sin dall’infanzia.

E’ l’angelo Raziel ( ho controllato, esiste veramente nella gerarchia angelica cherubinica arcangelica, è una specie di messaggero che fa da tramite tra le alte sfere e i terrestrini), nell’immaginario Mooriano personaggio inzallanuto e pure baccalone, a recuperare dalla cenere della cenere il caro Biff, e a costringerlo, trattenendolo in una camera di albergo,  a scrivere la sua versione dei fatti accaduti 2000 anni prima. 
(mentre in contemporanea, Maria Maddalena detta Maddi scrive la sua) 

Ed è proprio  nell’interregno tra la nascita e i trent’anni di Gesù, ovvero gli anni cruciali della formazione di ogni essere umano, dove la tradizione pone il vuoto narrativo, che Moore dà il meglio di sé.
Attraverso e con la partecipazione straordinaria di Biff, racconta dell’infanzia di Gesù e dei superpoteri da controllare (mica tutti riescono a incantare i serpentoni), degli scompensi ormonali adolescenziali e dei dubbi esistenziali (sono o non sono il figlio di Dio?), del viaggio verso Oriente alla ricerca di chi possa guidarlo a far bene il ruolo di Messia. 
Chi meglio dei re magi avrebbe potuto interpretare il ruolo di maestri?
Saranno loro  i maestri di Gesù e del riottoso Levi, che di certo  non era mica il Messia, sicchè è ovvio che pur con l’impegno non sarebbe mai riuscito  a incartocciarsi in una brocca per il vino,  a guarire, a  resuscitare, a praticare l’astinenza sessuale.
Tante avventure e tanti incontri faranno i nostri eroi, dalla  Persia fino a Kabul per trovare Baldassarre,  fine alchemista, esperto in Confucio e  Tao (compassione, sobrietà e umiltà) e in Chi e Qi, in Yin e Yang,  ma ingrippato e prigioniero di un demone e di uno stuolo di cinesine nella folle ricerca dell’immortalità.
E da Kabul alla Cina, per apprendere dal maestro Gaspare i fondamenti del Buddhismo (compassione e amore incondizionato) e i rudimenti del Kung fu, tra  yak e abominevoli uomini delle nevi e abominevoli vecchie delle capanne,  fino in India, dove, bypassati  i sanguinari devoti di Kalì (scompiscianti le sequenze del travestimento da dea della distruzione)  Gesù e Biff  incontreranno   Melchiorre, l’asceta arroccato nella montagna. 
Per un po’  le loro strade  si divideranno, ognuno  a seguire le proprie attitudini specifiche, Gesù a interiorizzare i principi del Bhagavad Gita,  Biff a imparare e praticare  il kamasutra.   
Moore non  risparmia nessuno tra i rappresentanti delle grandi religioni, e meno male che Maometto è venuto dopo, che altrimenti almeno un migliaio e mezzo di fatwe se le sarebbe attirate.

Negli ultimi capitoli, pur interpretando in modo “scanzonato”  i tempi della predicazione  e della passione,  il racconto assume una venatura dolente, melanconica, “ispirata”.
La “blasfemia” in questa storia è solo apparente:  si legge un sentimento di profondo rispetto e stima nei riguardi della figura di Gesù, che incarna il meglio del meglio di tutte le religioni precristiane. 
Non è certo un miscredente, Moore. 
Solo un cazzeggiatore. Ed è per questo che avrei preferito di gran lunga che avesse fermato Biff e il suo racconto/vangelo  prima di arrivare in Galilea.
Biff sarebbe potuto  morire di sifilide, o anche per una caduta da cammello (da ‘mbriaco, s’intende), e la sua testimonianza quale amico di infanzia di Gesù avrebbe avuto il medesimo valore. 

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